martedì

Rubrica a cura di Don Danilo Priori

Il rito di presentazione dei doni e l’arte floreale per la liturgia: alcuni spunti per una corretta prassi pastorale.



Nell’ambito della 61° Settimana Liturgica Nazionale, svoltasi a Fabriano dal 23 al 27 agosto dello scorso anno, è stata affrontata la tematica del rito della presentazione dei doni; nelle battute conclusive dell’intervento sull’argomento si affermava che il rito della presentazione dei doni durante la celebrazione eucaristica è figura e paradigma di un’etica che forgia i cristiani ad una prassi della carità: la liturgia affida alla chiesa un compito per il mondo, l’eucaristia forgia una teologia della carità ed è una realtà sociale quanto teologica. In altre parole potremmo dire - usando categorie più semplici - che il fedele, partecipando alla celebrazione eucaristica, impara a calare ed incarnare nella sua quotidianità il primato della carità, cercando di tradurre in gesti e comportamenti concreti quei valori che vengono espressi nei riti e nelle formule liturgiche. Ma quanti fedeli sono consapevoli di tale impegno etico? Possiamo parlare di un’esperienza pastorale seriamente preoccupata di trasmettere l’attenzione per l’azione concreta, effettiva e pratica della comunità e del singolo? Rispondere affermativamente a quest’ultima domanda significa avere colto in pieno il senso di ogni celebrazione liturgica, che altrimenti rimarrebbe amputata del suo normale e necessario compimento, rimanendo – nella migliore delle ipotesi - sul piano dei buoni propositi.
Le questioni affrontate, pur investendo l’intero agire della Chiesa, vengono in questa sede riprese da una prospettiva particolare poiché suscitano profonde riflessioni anche per l’arte floreale al servizio della liturgia: la presentazione del pane e del vino durante la celebrazione eucaristica può essere – con le dovute distanze – paradigma dell’offerta floreale? L’offerta floreale partecipa – in qualche modo – dello stesso impegno etico? Rispondere a questa domande permette da un lato ribadire e cogliere il significato profondo della liturgia eucaristica e dall’altro ancorare sempre più l’arte floreale alla teologia liturgica sottesa ad ogni celebrazione.
L’offerta simbolica delle primizie della terra a Dio trova le sue radici nella coscienza cultuale assunta dal popolo di Israele dopo la liberazione dall’Egitto: quei doni sono segno di una memoria che riconosce la miseria dell’oppressione e gioisce per il dono della terra dell’abbondanza in cui scorre latte miele. Ecco allora che quelle primizie esprimono non soltanto l’amore verso Dio ma anche il comandamento etico della condivisione verso coloro che, come Israele al tempo della schiavitù, non hanno nulla e vivono della generosità altrui; memoria del passato e memoria del presente si uniscono indissolubilmente diventando condivisione, cioè impegno – concreto, fattivo, reale e non solo affermato - che vuole esprimere la gratitudine a Dio per il dono da condividere assieme, sentimento di lode per la creazione e la redenzione. Presentare doni all’altare diventa l’atto cultuale per antonomasia nella Bibbia e le parole di Gesù lo qualificano come gesto di assoluta carità: la presentazione dei doni al tempio addirittura interrompono il gesto cultuale di fronte all’esigenza della riconciliazione col fratello (Mt 5,23-24). Basterebbero già queste poche indicazioni per chiederci davvero cosa esprimono le fioriture delle nostre chiese e fino a che punto sono ispirate al primato etico. Saremmo davvero capaci di interrompere anche l’offerta floreale davanti all’incapacità di ristabilire il rapporto con l’altro? Ha davvero senso posare con tanta apparente devozione un bouquet accanto all’altare, vicino l’ambone, accanto alla custodia eucaristica o addirittura ai piedi della croce quando poi nel cuore custodiamo sentimenti di rabbia, risentimento o avversione nei confronti del prossimo? Così dicendo non si intende certo pretendere dall’arte floreale per la liturgia un impegno etico esagerato ed esasperante, tuttavia se l’offerta floreale in ambito liturgico vuole distinguersi dalla comune offerta floreale negli altri contesti, deve necessariamente trovare e scoprire valori propri caratterizzanti.
Uno dei maggiori rischi a cui l’arte floreale per la liturgia è sempre esposta è quello dell’umiliazione del povero; difatti, se davvero l’estetica liturgica è al tempo stesso questione liturgica - perché riguarda l’agire di Dio - e questione etica, quindi teologia, viene da chiedersi, all’interno della generale riflessione sullo stile delle nostre liturgie, come decliniamo la bellezza di Dio. Come mettiamo in pratica la nobile semplicità suggerita dal Concilio Vaticano e l’attenzione per la dignità e il decoro (SC 34)? Ne vale la verità dell’offerta poiché offriamo noi stessi. È chiaro che risulta molto più facile ricorrere allo sfarzo e al lusso, mortificando così il senso profondo dell’offerta, piuttosto che ricerca quella modalità espressiva che tenga unite le due anime dell’offerta, cioè che rinvia alla Bellezza del Creatore ma tiene nella dovuta considerazione il primato etico della condivisione e dell’attenzione ai poveri.
Chi presenta. Ogni membro dell’assemblea prende parte all’offerta simbolica e offre se stesso nella presentazione del pane e del vino perché porta all’altare il frutto dell’incontro tra lui e la creazione, dunque vi è tutta la vita dell’uomo. Allo stesso modo l’offerta floreale non vuole essere il dono individuale di qualche fedele tecnicamente virtuoso o particolarmente devoto, bensì, una volta composto, il bouquet diventa offerta dell’intera assemblea: come il fedele prende simbolicamente parte alla processione offertoriale del pane e del vino, offrendo però se stesso all’altare perché porta il frutto dell’incontro tra lui e la creazione, dunque è tutta la sua vita, così l’offerta floreale, a prescindere dalla collocazione negli spazi liturgici, vuole essere partecipazione comunitaria alla mensa eucaristica di cui i fiori dicono la festosità non solo dello spazio ma anche del tempo celebrativo. Ben vengano quindi i vari corsi di arte floreale per la liturgia, da inquadrarsi nella più ampia attività formativa del gruppo liturgico parrocchiale e nella consapevolezza però che, una volta offerto, il bouquet non appartiene alla persona che lo ha realizzato, bensì diventa segno dell’offerta floreale della comunità convocata per celebrare il Risorto; con questo non si intende dire che l’offerta floreale può essere approssimativa o improvvisata, perché tutto ciò che riguarda la celebrazione deve essere approcciato con competenza e cura. Tuttavia bisogna sempre tenere a freno quegli approcci “privatistici” dell’offerta floreale che risultano così estranei all’intera logica celebrativa. Se i fiori vogliono dire la festa che si svolge in quel determinato spazio e tempo, devono necessariamente essere espressione – a prescindere da chi effettivamente li ha preparati – dell’intera comunità, perché ogni singolo fedele possa sentirsi partecipe dell’offerta; sarà poi cura dei pastori e degli operatori pastorali far maturare una tale sensibilità, individuando i modi di partecipazione di ciascuno.
Cosa presentiamo. Se il pane e il vino rappresentano l’offerta per eccellenza, i doni che Cristo stesso prese tra le mani per esprimere tutta la quotidianità e la festa, la necessità e la gratuità, allora possiamo pensare ad un’offerta floreale che esprima, in qualche modo, gli stessi significati. Pane e vino sono frutto della terra e della vite, ma al contempo del lavoro dell’uomo, quindi è vero che sono doni della natura ma anche della cultura, cioè la materia non viene presentata staticamente ma nella sua dinamicità, l’uomo ci mette il suo lavoro. Il fiore rappresenta quanto di più naturale e comune trovare nella creazione ma al tempo stesso collocato nell’aula liturgica vuole esprimere la festa della celebrazione; sarà l’abilità dell’uomo a cogliere i fiori che la natura offre e comporli per presentarli durante la celebrazione.
A chi si presenta. L’offerta del pane e del vino vengono presentati al Signore, davanti al suo volto, tuttavia il Signore non è il destinatario ultimo dell’offerta, bensì vengono presentati perché diventino per noi cibo di vita eterna e bevanda di salvezza; è evidente dunque che i destinatari ultimi dell’offerta siamo noi stessi che la presentiamo. I fiori ovviamente rimangono nell’aula liturgica e dopo aver adempiuto ad esprimere tutti quei significati sui quali ci siamo soffermati in precedenza, sembrano quasi prolungare la nostra preghiera e dunque, in questo modo, possiamo considerarli sempre destinati a noi che celebriamo il Signore. Semmai potremmo dire - in ultima battuta e ribadendo un concetto fondamentale già espresso - che la Chiesa e i poveri sono i destinatari dei doni in quanto il rito della presentazione è – o almeno vorrebbe – essere responsabile di un’etica di condivisione e da questo punto di vista allora l’offerta dei fiori è veramente liturgica quando si ispira alla nobile semplicità che non mortifica i poveri.
L’arte floreale per la liturgia sta suscitando, specie in questi ultimi anni, un’attenzione sempre maggiore da parte delle parrocchie, degli operatori pastorali e degli organismi diocesani: speriamo davvero che questo interesse sappia focalizzarsi anche e soprattutto sui quei presupposti e contenuti ai quali ogni vera arte al servizio della liturgia non può rinunciare.

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